5 febbraio 2021

Vedere con gli occhi dei bambini

 L'anno scorso, era più o meno a metà di aprile, sorridevo quasi di gusto nel vedere mia nipote di appena due anni correre irrequieta tra le mura di casa urlando a squarciagola, fino a perdere il fiato: coronavirusss. Pensavo: chissà cosa le passa per la mente. E' una demonizzazione o puro divertimento? 

A casa dall'asilo, con tutti gli adulti attorno mascherati e igienizzati, la clausura obbligata, nessuna amica con cui giocare, uscire, parlare, scherzare... che altro doveva fare se non sfogarsi? 

Poi sono arrivate le video e infine le registrazioni vocali. "Ciao Marta, io vado a fare il bagnetto e tu?". File inviati dalle mamme ai rispettivi telefoni per far parlare le due nanette: amiche e compagne di classe, lontane da mesi. 

Non sono mamma ma non avevo mai realmente pensato agli effetti di questa pandemia su questi esserini finché non ho visto tutte e dieci le Barbie sul pavimento dell'entrata, posate e sedute a rigorosa distanza, che guardavano Ken in piedi. Erano a messa. Io, da piccola, mi inventavo giornate di shopping e lavoro per le mie bambole bionde della Mattel. Ma le mie nipoti non avevano altro che la domenica per uscire e respirare il mondo; e cosi è stato per mesi. La messa come unico momento comunitario e sociale da riprodurre nei giochi. 

E ora è il momento dell'ospedale. Con la maschera addosso curano orsacchiotti e bambolotti ammalati di coronavirus. Forse neanche sanno come disegnarlo questo mostro ma mi rendo conto, nelle immagini filmate che mi arrivano a distanza, di quanto potente sia l'impatto su questi frugoletti. Che vedono, assorbono e replicano, per imitazione, una società malata e sola, sempre più povera di stimoli dove la tecnologia poco e male compensa un ginocchio sbucciato per una spinta, un abbraccio dopo una lite a ricreazione, una corsa tra i coriandoli a Carnevale, una festa con venti scalmanati che ti distruggono casa e la vista dei sorrisi dietro le maschere degli adulti. 

Chissà cosa ricorderanno da grandi...