27 febbraio 2009

Imitazioni

Vorrei essere una che si accontenta di quello che ha. Che non vive di afflati, di rincorse, di mete lontane da raggiungere in fretta perché poi ce ne sarà un'altra nuova. Vorrei essere stabile, vivere di poche cose certe. Quelle che ho. Vorrei vedere a volo d'uccello il mondo e non concentrami solo su suoi dettagli. Vorrei disegni ampi dove anche se un solo tratto non è perfetto il resto rende comunque comprensibile la figura. Vorrei accettare l'imperfezione come stato dell'essere. Vorrei alzare le spalle e dire: vabbè. Vorrei essere una che si accontenta di quello che ha. Inseguire richiede sforzi enormi. E anche la messa in discussione di tutto. Richiede una particolare predisposizione al sogno e all'ottimismo. Ma non tutela dalle illusioni. Non cura le cadute.

Elegia

C'incalza il destino in una corsa agli ostacoli
E siamo noi due di oggi i noi due di allora quelli di domani, chissà!
Finché è tempo, saziamo i nostri occhi, Amore, le nostre bocche e le mani... di Vita!
C'incalza il destino: non ci darà tregua pur sapondoci amanti.
Un'eterna notte ci attende né mai più verrà l'Aurora.

Falso allarme

No, non è il mio momento. Rimandato a data da destinarsi. Chissà.
Le congiunzioni astrali sono sempre avverse. Stiamo aspettando che Venere si incroci con Giove, che Marte sia in linea con Plutone e che Mercurio entri nella nona decade. Speriamo entro il 2009. Sennò questo pacco si autodistruggerà da solo.

25 febbraio 2009

23 febbraio 2009

Palcoscenico

Finalmente sto per uscire dalle quinte. E' il mio momento. Davanti la platea che giudicherà il mio essere, il mio fare. Occhi puntati, luci accese. So la mia battuta, so interpretare al meglio il mio ruolo. Devo però ancora guadagnarmi l'applauso. Il loro gradimento. I tempi sono giusti per la mia uscita. Lo sento. E ora non sto nella pelle. Voglio dare un nome e un perché alla mia presenza in scena. Mi hanno percepita, intuita. Mai vista. Ma c'ero, eccome se c'ero. E ci sono. Eccomi qui.

20 febbraio 2009

Aspettando Vittoria

Cosa c'è di più naturale che la danza? E' quello che pensano i genitori quando vedono i loro bambini saltare, girare, montare sulla punta dei piedi. Oggi tutto il mondo vuole danzare, ed è vero che tutto il mondo può danzare, ma non tutti possono essere dei ballerini. La danza classica non è ginnastica, ci vuole un apprendistato rigoroso, delle disposizioni fisiche speciali all'en dehors, il gusto dell’esibizione fisica, il senso del ritmo e molte altre cose ancora. Genitori e ragazzi devono sapere e comprendere ciò che significa diventare "danzatore di professione” perché troppi errori sono stati commessi che hanno distrutto l'avvenire di molti bambini in quest'arte così popolare oggi, ma ancora troppo sconosciuta al grande pubblico, ed è strano come in un'epoca in cui si prendono tante precauzioni nei confronti dei figli, ci si avvicini a quest'arte così rigorosa senza consultare il parere di persone veramente competenti.
Le basi dell'insegnamento sono di un'importanza primaria, non bisogna in ogni caso sottovalutarle, uno studio scorretto potrebbe apportare lesioni anche molto gravi al giovane corpo in via di formazione. Quando una bambina inizia lo studio della danza, molto spesso immagina se stessa vestita con il tutù e con le scarpine da punta ai piedi. Sarà compito di un serio insegnante farle capire che la danza innanzitutto è lavoro quotidiano alla sbarra, che il tutù è solo un costume di spettacolo che verrà indossato molto più tardi e che le punte non dovranno essere calzate senza prima avere imparato, con faticosi esercizi, a sostenere la mezza punta, a rinforzare tutta la muscolatura delle gambe e a piazzare correttamente la schiena. Ecco allora che, se l'allievo riesce a sormontare queste prime disillusioni e si avvicina con applicazione e fervore al rigore del lavoro richiesto, il suo carattere si modella in favore dello sforzo fisico e, giorno dopo giorno, plasma il suo corpo ed il suo spirito alla continua lotta necessaria per iniziare una carriera. Accettare di ricominciare mille volte lo stesso gesto fino alla sua completa conoscenza e forse alla sua perfezione, rifiutare la facilità, rimettersi in questione in ogni momento, sono le più grandi qualità per un ballerino ed è sorprendente vedere come i bambini accettino tutti questi sforzi con passione scoprendo che il loro corpo, macchina meravigliosa, che bisogna però sorvegliare senza sosta, può, se si vuole, rispondere a tutte le sollecitazioni richieste. La danza classica quindi, oltre che formare il corpo in maniera meravigliosa, apporta una maturità, una capacità di concentrazione in se stessi e una serietà che non è facile riscontrare in altre discipline fisiche.
Andrea Francescon

19 febbraio 2009

Tempo

Ho così costantemente bisogno di te che passo più tempo a desiderarti che averti. Mi sfuggi tra le braccia la mattina ancora assonnato e ti intrufoli sotto le coperte solo a tarda notte. Viviamo di sera al buio fino alle prime luci dell'alba. Nell'attesa di quel momento, il nostro momento. Vero, sto aspettando il patatrac. Il tutto risolto. Il tutto finito. E mi godo ogni goccia del tempo che mi dedichi sapendo quali e quanti chilometri percorri per noi. Per me. Eppure sono così avidamente affamata di noi da non averne mai abbastanza. Mi manchi appena varchi la soglia. Mi manchi tutti i minuti e le ore successive. Mi manchi finché non ho la certezza che tra pochi minuti potrò rivederti. E spesso ahimé passano giorni. Per ora siamo quelli del mercoledì sera e della domenica mattina, con qualche - miracolosa e stupenda - variazione sul tema. Non vedo l'ora di essere unica. E significa che non ci sarà altra al di fuori di me.

18 febbraio 2009

Nietzsche

... Bisogna avere un caos dentro per generare una stella danzante.
(sono tornata a indossare le scarpette, a odorare il parquet di legno, a osservare il movimento nello specchio, a seguire il ritmo. Ora devo solo abbandonare le membra)

11 febbraio 2009

Tutto insieme

Secondo voi esiste un momento preciso, un istante, attimo in cui una donna capisce di essere arrivata al punto da poter diventare mamma? Bè, secondo me sì. E questo attimo, che dura un po' più del previsto, mi sta investendo in pieno.

6 febbraio 2009

Tonfo

Strano. Le chiacchierate più introspettive, quelle che mi hanno davvero aiutato a guardarmi dentro, le ho fatte in momenti strani e con persone di cui non mi sarei mai aspettata qualcosa. Il fisioterapista, primo fra tutti, che ascoltando il mio corpo ha risolto un problema di gola e di non detti in grado di bloccare sterno e ossa del collo fino a non farmi respirare. Poi stamani la svolta. Io che dico di aver dormito solo tre ore - e male - all'estetista che alle otto del mattino ha il semplice compito di pulirmi il viso. E lei che mi chiede se sogno. Credo di aver sempre sognato, ma mai mi sono ricordata come in queste ultime settimane gli incubi che faccio. Immagini che mi svegliano nella notte mi spaventano ma non mi fanno pensare. Lei invece sì che mi ha fatto pensare. Sarà quel maledetto corso che sta frequentando. Sarà che io non credo mai a queste cose tranne quando hanno senso per me. E avere senso significa aver colpito nel segno. Immagini che parlano da sole e che già mi segnalano che qualcosa non funziona. La casa da cui non posso uscire, quelle finestre chiuse, io che cerco assoluta libertà buttandomi nel vuoto e poi c'è il sogno di stanotte. Io e il mio vecchio coinquilino in casa appartati. E i suoi genitori che entrano. Lui tranquillo e sua madre che mi osserva e mi giudica. Mi attacca come quella vergognosa. E poi pranziamo tutti insieme e io sono lì a testa alta, nuda a tavola con uno scialle di seta. Che ascolto. Il mio coinquilino è il riferimento a una persona che lavorativamente ora invidio. E' vero. Lui ha ottenuto il suo sogno, io ancora no. Lui ha sfondato nel nazionale io no. Lui non è nudo ora, non ha vergogna. Io a volte si. Ma mi copro con lo scialle di seta che è come nascondere la polvere sotto il letto. Ma la mia estetista ha ribattuto: quand'è che te indossi lo scialle di seta? Io: alle cerimonie, occasioni importanti. E come ti senti a indossarlo? Elegante, a mio agio, apposto. Ecco allora, dice, hai ancora la possibilità di uscirne a testa alta a tuo agio senza vergognarti di te. Fallo in fretta.
Ecco! ho pensato. Devo muovermi in fretta. Il mio corpo e la mia mente mi stanno inviando segnali chiarissimi per evitare il tonfo. E ieri per la prima volta ho tolto i veli e ho pianto davanti alla gente. Non ho più freni.

5 febbraio 2009

Progetto

- Ho bisogno di un progetto capisci?
- Mica stiamo costruendo un grattacielo
- Sì invece. Io voglio costruire. Voglio un grattacielo
- Tu non lo vedi, ma è già tutto su carta il progetto. E' già disegnato e lì davanti. Ma te non lo vedi perché (e lentamente indica sulla tavola un bicchiere) te vedi solo questo, invece su tavolo (e sposta la bottiglia d'acqua, l'olio e l'altro bicchiere di fronte) ci sono anche questo, questo e questo
- Li vedo, rispose lei alterandosi. E' che io vedo voglio che quel disegno metta fondamenta. Ho bisogno di capire che qualcosa si muove. Che stiamo facendo passi avanti. Ho bisogno di qualche segnale. Ti prego, aiutami a essere serena. Dimmi come possiamo fare perché io stia tranquilla nel mentre
- Te hai ragione, ma vedi solo una parte del tutto. E le cose sono più complicate
- Iniziamo a mettere i gradini, uno alla volta. Partiamo da questo, poi questo e poi questo. Insieme
(Silenzio)
- E' un silenzio di assenso? chiosò lei
- Sì, replicò lui con gli occhi bassi. Aveva capito che quello era un urlo d'amore.
Sei una rompicoglioni, aggiunse.
- Lo so, pensò lei fissandolo negli occhi con le lacrime trattenute. Lo so. Ma non ho mai saputo in vita mia come ora cosa voglio. E anche se il grattacielo non sarà alto domani ho bisogno di capire i tempi. E ho bisogno che questi siano di medio-breve periodo.
- Non possiamo saperlo ora, gli scappò
- Allora acceleriamo, rispose lei. Facciamo i doppi turni, mettiamo duecento operai al lavoro. Lo voglio, disse con forza
- Poi bisognerà pagare gli straordinari e non possiamo, gli venne da ribattere
Lei lo fulminò con lo sguardo. Lui rispose e sorrise. Sei matta, ma ti adoro. E se parliamo ancora una volta di grattacielo ti ammazzo e fuggo in ammazzonia. Ok?
(Silenzio, di lei - stavolta). Capì che nonostante la metafora il messaggio era passato. E che qualcosa si sarebbe mosso. Se ne andò sollevata. Ora doveva sostenere il suo uomo. Più di prima.

2 febbraio 2009

Complicata

Se pensassi di meno, starei meglio. Invidio l'essere semplice. Invidio chi sta zitto. Invidio chi passa sopra tutto e se ne fa una ragione. Io, invece, sono nata ribelle.

Revolutionary road

Mi fanno male certi film. Mi fanno male certi libri. Vedere e leggere nero su bianco ciò che pensi e vivi, ciò che immagini e ti calza così perfettamente addosso è una miccia distruttiva. Che si accede e brucia. Brucia e brucia. Le parole riecheggiano e te inizi a recitare la sua parte. Il confine tra il film e la vita vera sfuma. Tutto sembra pellicola. Tu sei lei. Ma tu non vuoi finire come lei. (Ecco, l'ho detto).

Frank e April Wheeler sono una giovane coppia middle class che coltiva noia e anticonformismo in un sobborgo benestante (e benpensante) di New York. April partecipa con modesti risultati alle recite della filodrammatica locale e Frank indugia in un lavoro ordinario in attesa di “trovare la sua strada” e il suo essere straordinario. Belli e colti, intelligenti e sofisticati, i Wheeler sono ammirati dai più ovvi vicini di casa e da un'inopportuna agente immobiliare. Nel privato, invece, la coppia prova a resistere all'amore finito e ai silenzi infiniti, alle notti bianche e ai bicchieri pieni. Frank inizia una squallida liaison impiegatizia, April si inventa una vita a Parigi, dove vorrebbe trasferire la sua famiglia e la sua inquietudine. L'idea romantica della fuga riaccende la passione nel talamo e la fiducia nel futuro ma la “rivoluzione” cova sulla Revolutionary road. Ambientato a metà degli anni Cinquanta, nella provincia del Connecticut, immerso in colori, musiche, oggetti, toni e bigottismi dell'America più conservatrice e moralista, Revolutionary road è un (melo)dramma trasposto con ossessiva fedeltà dal romanzo omonimo di Richard Yates. Sam Mendes trasforma l'infiammabilità inesplosa e trattenuta di una giovane coppia di coniugi in un film che scoppia nel momento in cui sfiora la realtà. La Revolutionary road è percorsa da un'energia (in)controllata, che pulsa sotto la compostezza della messa in scena, suggerendo ciò che si deve assolutamente tacere. Dietro alla casetta a due piani, il giardino, l'automobile, due figli e un'agente immobiliare che racconta ai suoi clienti questa perfezione, c'è l'assordante tristezza che deriva dalla solitudine della protagonista, costretta a misurarsi con la mostruosa normalità che l'assedia dentro e fuori le mura domestiche. Soltanto il figlio folle e alienato della signora Givings intuisce la consunzione dell'amore coniugale e il deperimento della cartolina dentro la quale vivono i Wheeler, costretti a recitare in continuazione una sicurezza che non hanno. Saranno le sue parole prive di sfumature a incrinare la superficie levigata della loro vita, lasciando affondare sogni e ambizioni, sostegni e corazze, silenzi e ipocrisie.

Note in testa

Nel cielo passano le nuvole che vanno verso il mare, sembrano fazzoletti bianchi che salutano il nostro amore.
Dio come ti amo - non è possibile avere fra le braccia tanta felicità - baciare le tue labbra che odorano di vento - noi due innamorati come nessuno al mondo
Dio come ti amo mi vien da piangere - in tutta la mia vita non ho provato mai - un bene così caro un bene così vero - chi può fermare il fiume che corre verso il mare - le rondini nel cielo che vanno verso il sole - chi può cambiar l'amore l'amore mio per te
Dio come ti amo - Dio come ti amo

1 febbraio 2009

Tre, numero imperfetto

Oggi mi sento in più. Ho l'impressione di turbare un microcosmo coeso. Di intrufolarmi dove non posso. Di guardare fuori dalla finestra l'interno di una casa altrui. Io fuori. Loro dentro. Ho l'impressione di vivere di echi di voce e non di voci vere. Di racconti e non di emozioni. Tutto mi passa davanti e non afferro niente. E muovo le mani così veloce per poter prendere qualcosa da non capire perché mi sfugga tutto. Erano anni che non versavo così tante lacrime indisciplinate. Scendono quando non devono, nei giorni e nei momenti sbagliati. E non riesco a fermarle. Sono, per ora, il mio unico sfogo per una vita che sto vivendo a metà. E talvolta non mi accontenta. Mi lascia arida. Mi spegne dentro. Mi sta lentamente spegnendo dentro. E non voglio che accada. Non posso permettere che ciò accada. Perché dopo anni e mille conflitti con me stessa ho capito che qualcosa valgo. E mi si perdonerà l'esuberanza ma credo che al mondo esistano poche donne come me. Forse meglio, forse peggio. Ma ho un mondo strano e complicato dentro che pochi hanno visto. E a pochi l'ho mostrato. Salvami amore. Rendimi felice, ti prego.