30 dicembre 2008

1.30

Ho voglia di un lungo abbraccio capace di togliermi il fiato. Ho voglia di sentirmi protetta e di non pensare a nulla anche solo per due minuti. Ho voglia di annullare il mio battito e ogni rumore esterno. Ho voglia di silenzio e di odore di vento attorno che ulula e sposta foglie secche. Ho voglia di freddo sulle mani da infilare nelle tasche del cappotto. Ho voglia di piedi che battono la terra per non addormentarsi. Ho voglia di capire perché attorno nulla si muove e io sono in una continua centrifuga emotiva. Ho voglia di sbattere tutto per terra perché si rompa. Almeno così ha un senso. Ho voglia di scrivere. E di scrivere di getto di ogni cosa che mi è capitata in queste settimane, dalla solitudine forzata alle non scelte, dal libro regalato sul comodino che ha così senso per me fino a un capodanno che non so ancora dove andrò ma so già che sarà senza di te. Ho passato due ore stanotte a guardare il soffitto buio e a chiedermi il senso di ogni parola letta e scritta via sms. E di ogni frase detta al telefono. Ogni cosa mi faceva mal di stomaco. Un dolore insopportabile e acido. Ho pensato a scomparire come ho sempre fatto nella mia vita. Ho pensato che, però, avrei fortemente voluto che mi cercassi. Ancora una volta ho scelto io. Ho fatto e disfatto tutto. Sono le donne che scelgono sempre. Me ne sono accorta. Scelgono anche in silenzio. Gli uomini seguono il corso delle cose e la corrente. In pochi, di fronte a una frattura, mi hanno tirato per i capelli per dirmi: cosa dici, dove vai? Pochi mi hanno fermato, anche quando sbagliavo. Io odio provocare nella vita. E sono stupidamente diretta e sincera, nei buoni e nei cattivi pensieri. Ma il primo passo l'ho sempre fatto io, giusto o sbagliato non importa. E me ne sono presa ogni conseguenza. Ci sono passi affrettati, passi nella direzione sbagliata, passi riparatori. Purtroppo solo qualche volta sono stata seguita. E ora ho voglia di stare ferma. Sì, ora ho voglia che qualcuno trovi me e sono qui. Talmente trasparente da non aver paura di urlare in faccia cosa voglio. Non è necessario, basta che guardi i miei occhi. Ti parlano da un anno e mezzo. Ti ascoltano da un anno e mezzo, e ti aspettano da un anno e mezzo.

29 dicembre 2008

Orecchie chiuse

Ho rabbia dentro ora. E non so perché. O forse sì. Perché non cambia nulla, perché le persone non ascoltano, non sentono. Perché ragiono egoisticamente come se i miei desideri una volta tanto dovessero precedere quelli degli altri. Ascolto. Ti ascolto. E lo so che tu ascolti me. E' che grido sempre la stessa cosa. E ora, sì ora che l'ho assaporata, odorata e l'ho fatta mia con tutto il dolore e la tristezza che ha dentro, mi sono accorta che è come sempre. Tutto scorre. Ci sono persone a cui la vita scivola addosso. Ci sono ballerini fermi in mezzo alla pista, fermi a guardare che tutto si muova intorno a ritmo più o meno cadenzato ma normale perché il troppo piano o il troppo veloce disturba. Ci sono muri di gomma che rimbalzano parole ed emozioni che tornano al mittente senza diritto di resa. E chi ha più voglia di rimandarle poi? Ma c'è anche chi continua le lotte contro i mulini a vento. Mio nonno è convinto che grazie a un paio di iniezioni tornerà a camminare. La realtà è che la sua colonna vertebrale è a pezzi per una caduta di quindici anni fa. E' paralizzato; ma se avesse fatto fisioterapia, se avesse seguito i ricoveri, fatto gli esercizi, ascoltato i medici ora non staremmo con un catalogo in mano a cercare un girello o peggio due ruote. E non importa se glielo abbiamo detto mille volte. Mia nonna l'ha assecondato perché era meglio così, non turbava il suo equilibrio. Non gli imponeva di fare una cosa che per lui era scomoda: pensare alla sua salute e affaticarsi per stare bene. Sono stati fermi e ora è tardi per fare tutto quello che non si è fatto prima. Le vite a volte sono come biglie che scendono lentamente da un piano inclinato. Impossibile risalire quando si è data la prima spinta dall'alto al basso. Devi solo sperare in un atterraggio morbido. E io non voglio restare immobile. Non voglio farmi scivolare nulla addosso. E non permetterò che tu lo faccia. Ci sono momenti in cui, quando davanti hai una persona pronta a tapparti le orecchie per non sentire, devi trovare la forza di togliere quelle mani e di chiedere sinceirità e rispetto. E di ripeter cento volte quello che non è chiaro. Perché domani è già tardi. E ho deciso che vale la pena di recuperare presto e con grande sincerità ciò che non vuoi perdere. O perlomeno ciò che vuoi che abbia rispetto di te. In qualsiasi modo vada poi a finire. Se tornassi indietro porterei a forza mio nonno dal fisioterpista. Vederlo così è di una tristezza infinita.

23 dicembre 2008

Ha senso per me

Il cuore mi esplode. E vorrei dire mille cose. Le ho tutte dentro disordinate che chiedono priorità. Oggi mi si è ribloccata la gola, sintomo che devo parlare. Ho voglia di urlare al mondo i mille e diversi sentimenti che mi avviluppano il corpo. Sono un trito di emozioni. E chiedo calma. Ora chiedo calma di pensiero e di azione. Chiedo passi lenti e ragionati. Chiedo un passo alla volta. Verso quella direzione però. La nostra direzione. Ho la colpa addosso di non esserci stata quando avevi bisogno di me. Ho la colpa addosso di non aver capito cosa dovevo fare: tornarmene a casa. Ho l'amarezza di aver mostrato una me stessa che poteva e può non essere piaciuta. Ho il timore di essermi buttata via, per una sera. Dura non rispondere alle aspettative altrui. Peggio deludere le proprie. E ho cercato aria per respirare. E mi è mancata l'aria per respirare. Ieri ti avrei difeso contro tutti. Ti guardavo mentre provavi le scarpe e muovevi la bocca come un bimbo. Ti ho visto così limpido e bisognoso di coccole che avrei pianto una sera intera per l'emozione. Ho capito immediatamente quanto ora è necessaria la mia forza, quella che a volte viene meno perchè anch'io non sono perfetta. E ce la metto tutta. Ce la metterò tutta. Sono qui. Per te.

16 dicembre 2008

Ossa rotte

Un'ora e mezza dal fisioterapista e non sono perfettamente apposto ma almeno sto meglio. Trent'anni e sono peggio di mia nonna. Ma lei almeno un motivo ce l'ha per non alzarsi di scatto dalla sedia e non fare cento metri a passo spedito. E io? Ieri chiedevo insistentemente: è colpa della scogliosi vero? No. Mi devo operare al crociato? Lo so, ho fatto male a non farlo subito questo intervento ma non avevo tempo.. Invece no. L'anca? (Purtroppo mi hanno - i dottori - sempre messo in testa l'idea che avevo un'anca più alta..) No, sei perfettamente in linea se ti stendo la muscolatura. E allora? La diagnosi alla fine è sempre quella: stress. Ma ieri l'ha chiamata: tensione. Ormai è la mia malattia perenne. Pensi troppo. Alzati di più dalla sedia. Cammina in pausa pranzo un'ora per scaricarti. Se sapesse che ho iniziato a muovere velocemente le gambe come te e che mangio un pacchetto di chewingum al giorno per scaricare la mandibola. Mi dico da sola che mi aiuta a scrivere ma a chi voglio darla a bere. Sono quella che si sveglia la mattina con la mandibola indolenzita per il forte e costante lavorio notturno dei miei denti. E già alle sette mi programmo la giornata. Ora mi sveglio anche di notte per farlo. La mia è sempre stata incapacità di gestire le tensioni che accumulo sempre lì: sterno, collo. Cuore, voce per capirci. E implodo. Dovrei urlare al mondo mille cose. Ma implodo. E contraggo i muscoli, stringo le vertebre, chiudo le spalle. Ora chiudo anche la gola al punto da farmi mancare il respiro. Maledizione! E' ansia che torna e che devo nuovamente combattere. Spegnendo il cervello.

12 dicembre 2008

Acqua e sapone

Risate. Di gusto. Per due gote rosse e due ferretti del reggiseno sbucati da chissà dove. Gli occhi si spalancano quasi a dire: nemmeno me ne sono accorta di averli persi. E invece erano lì, conficcati, a ostruire il tubo. L'acqua non sgorgava e faceva sacco. Due giorni senza lavatrice a lavare per terra e trovare un secchio dove stendere accappatoio e lenzuola zuppe. Profumo di ammorbidente e bolle di sapone che riempiono l'aria con venti euro in meno - ora - in tasca (e fortuna sono solo venti) per il signor tecnico amico di chissoio.
Rido di me e della mia incapacità di essere donna massaia. E pensare che la mia prima lavatrice risale a meno di un anno fa. Ed è stata una conquista. Pensare che mi hai giustamente deriso e ora non potrei fare a meno anche di questa indipendenza: di lavare per terra acqua che non sono stata in grado di gestire. Tornerò a casa stasera curiosa di capire quale malcapitato reggiseno è rimasto senza sostegno morale.

27 novembre 2008

Flash back

Mi soffermo sui particolari. Perché li adoro. E rendono speciale un testo scritto. Perché le pause cadono giuste su quelle parole e tu inizi a pensare. Pensi a quella marmellata di frutti di bosco che gusto ogni giorno. E vorrei condividere con te. La mia colazione vive del nero delle more e del viola dei mirtilli. Perché si mangia prima con gli occhi. Vive del sapore in bocca dei piccoli semini dei lamponi. E del gusto succoso delle fragole. Perché il gusto deve essere sempre un po’ ruvido, all’inizio. Pane di segale, grezzo, color carta riciclata. E nero del caffè che continuo a chiamare così anche se è un deca senza zucchero. O un annacquato orzo liofilizzato. Chissà perché mi piace tanto. Questa la mia colazione padovana. Che ho importato da Milano. Vivo di gusti proustiani e di ricordi ogni volta che ripeto il rito mattutino, abituata a vivere in solitudine. E ogni mattina facevo il bagno. Non la doccia. Con calma e il mio bagnoschiuma viola. Acqua al bordo e molta schiuma. Ferma immobile a giocare come una bimba. Poi aprivo le finestre per essere abbagliata dal sole. Ogni mattina in terrazza bevevo il mio caffè, aspettando che qualcuno venisse da dietro ad abbracciarmi. Spostarmi i capelli e darmi un lieve bacio sul collo. Nessuno scialle bianco – che avrei scelto di lana, nella mia immaginazione – ma un accappatoio, anche questo bianco.

Lana. Sì perché per me è sempre inverno. Il cielo bianco. Anche se non vedo l’ora di vedere il tuo cielo, col tuo colore preferito. C’è freddo. Ma anche il tuo calore. Sedia a dondolo di legno. Grande. E camino acceso di legno di sandalo che odora nella stanza. Un grammofono vicino al pianoforte a coda e alla vecchia lettera 22 acquistata nel mercato domenicale di Prato della Valle dove ti porterò. Quanto l’ho cercata come la volevo io. E, forse, sei stanco di sentirmi ripetere sempre le stesse cose. Ma ora il cane è sul tappeto bianco e tra un po’ filerà fuori, come ogni notte. La musica è retrò, e la scelgo io come sempre. E stasera va di sassofono. Abbiamo sigari da varie parti del mondo che tiriamo fuori in occasioni speciali. Così, stasera, accendi un cubano di quelli sottili e apri una bottiglia di rosso che ci hanno regalato. Viviamo tra le nostre piccole ritualità. Reciprocamente. Consci dell’equilibrio creato uno sui bisogni dell’altro. L’arredamento, l’ho scelto io. Minimalista. Ma tu l’hai impreziosito di te. Per cui c’è il mio stile e la tua storia. Il minimalismo è freddo. Tu, invece, hai calore. C’è odore di cultura in casa. Di libri vecchi. Una volta divisi, i miei dai tuoi. Oggi tutti insieme. Li abbiamo ordinati per argomento e in ordine alfabetico la scorsa estate. Hanno le pieghe sugli angoli e le sottolineature e gli appunti. Molti sono stati letti insieme. Condivisi, anche quelli. Molti sono doppi. Stasera invece tocca alle chiacchiere. Le nostre, di sempre. Con i mille argomenti che tiro fuori io e i silenzi che adesso abbiamo imparato ad apprezzare. Strano tornare a casa a volte e trovarti seduto da solo fuori dalla porta sulla veranda ad ascoltare il rumore del mare e i gabbiani sugli scogli. Con quel maglione grosso di lana che ti dico sempre su perché credo tu abbia freddo. Quello che una volta ti serviva ad appiattire i vestiti in valigia con quei pantaloni larghi verdi e quelle ciabatte che ho sempre odiato ma in cui stai comodo. Ti mangi ancora le pellicine delle unghie e lasci le tue cose sparse ovunque. E non hai ancora perso la mania di spostarmi gli oggetti. Ma ora mi rubi la macchina da scrivere e t’impiastricci i polpastrelli dell’inchiostro come ho sempre immaginato di fare io. Scrivi piccoli messaggi e me le nascondi per casa con i tuoi dolci pensieri. Perché leggere ancora adesso che mi consideri bellissima è uno dei regali più graditi delle mie giornate.

26 novembre 2008

Secondo capitolo

In stazione arrivò alle 16 e cinquanta. Giusto in tempo per prendere l’Eurostar già prenotato. Al binario una folla di gente indescrivibile rivolta con il naso all’insù. Alzò il collo e l’occhio cadde subito al rigo esatto: sessanta minuti di ritardo. Troppi per aspettare al caldo con il ferro esalante, l’adrenalina in corpo e la cena di laurea di lì a quattro ore che richiedeva una preparazione accurata. Soprattutto per nascondere la piccola imperfezione sbucata all’improvviso sul mento.
Tornò con lo sguardo al tabellone e vide un’Intercity in partenza dal binario sette. Corse togliendosi la giacca per il caldo. La raffazzonò nella borsa. Davanti all’ingresso dell’ultima carrozza il controllore. Fu più forte di lei e le parole uscirono incontenibili. Non ci aveva pensato nemmeno un attimo di fare la furba indisturbata né d’altronde di beccarsi una sonora multa. Così chiese diretta: «Posso salire anche con il biglietto dell’Eurostar? Sa è in ritardo e io..» «Sì, signora - le rispose bloccandola proprio mentre stava dando il meglio di sé sulle scuse inventate - sono saliti praticamente tutti. Troverà pieno ma si sbrighi che stiamo partendo».
Salì. Tre gradini e poi un fiume di gente nel corridoio. Stretta dal caldo si fece spazio e si incanalò. Uno, due, tre passi. Prima, seconda e terza carrozza. Nella terza però l’aria condizionata non funzionava più, segno che si era arrivati ai piani bassi: cominciava la seconda classe. Non c’era un posto libero. E già sapeva che avrebbe viaggiato tre ore in piedi. In testa le frullavano mille pensieri: il contratto, quel bacio che non l’aveva emozionata, il lavoro che avrebbe iniziato domani, e la cena di laurea e a cui sicuramente sarebbe arrivata di corsa e in ritardo.
Poi lui si girò.
«Che fa signorina, mi segue?»
Rapida, razionale come al solito. «Ma le pare? Sono in fila». «sa che le dico, io tornerei alla prima carrozza che fa più fresco, siamo in prima classe e c’è più spazio così si fa due chiacchiere. Che dice?»
In quel momento tre cose colpirono la sua mente: la c aspirata (era chiaramente toscano), quel sorriso a denti bianchi rassicurante e due occhi azzurri e grandi in grado di spalancare anche i suoi. Fino a due secondi prima era solo un completo gessato visto di spalle. Un uomo moro, alto un metro e ottanta che procedeva lento con a mano una cartella di pelle nera. Scarpe nere ben lucidate e camicia a maniche lunghe. «Va bene», disse. E si girò. A quel punto fu lui a seguire lei.
Trovarono uno spazio in prima classe. Ma restarono in piedi. Lui appoggiò la borsa nel posa bagagli. Non si tolse la giacca ma chiese un pezzo di giornale per sputare il chewingum. Dopo che l’aveva visto fare a lei.
....

25 novembre 2008

Las Vegas

Sono cresciuta con l'idea del fidanzamento lungo, dell'anello, di una promessa in ginocchio e dell'abito bianco. Violini e cerimonia in chiesa per un sì che sarebbe valso tutta la vita. Sono cresciuta con l'idea fiabesca e forse soapoperiana (si dice??) di matrimonio. Eggià. Cambiano le cose nella vita eh? Fino a due anni fa era ancora così. Anzi no, fino a tre anni fa. Perchè due anni fa avevo deciso di non sposarmi e che avrei dedicato la vita al lavoro e alla carriera. Vulnerabile? Facilmente influenzabile? No, cambiano le prospettive nella vita. Ma anche le persone. E cambi anche tu. Al punto di capire che non è una chiesa nè un abito bianco a fare grande qualcosa. Che poi è un qualcosa che vale prima e dopo quel momento topico. Non è il contesto che dà senso all'amore. E' l'amore che dà senso al contesto. Quindi, se decideremo di sposarci - e lo decideremo insieme - sono convinta che lo faremo di corsa e con una naturalezza e spontaneità unica. Perchè non avrà per noi quel senso che ha per gli altri. I nostri testimoni sono le persone comuni che ci sorridono in un bar o chiacchierano con noi in treno. E laddove a condivere ci sono le nostre famiglie siamo apposto. Ma forse nella pazzia più totale, e ci starei, potrebbe essere che si voli fino a Las Vegas, si prenda un abito a noleggio e si passi un serata a scegliere la cappella per poi dormire in un letto a forma di cuore (chic da morire) scolandosi bottiglie di vino. Da film anche questo? Sì, forse. Ma calza con noi. E il fatto che abbiamo bisogno entrambi di rendere elettrica ed emotivamente piena la nostra vita.
Amore, ho voglia di un viaggio insieme. Ora che sei lontano in America forse capisci perchè è un anno che voglio andare a Instabul e poi Parigi e poi in qualunque posto. E' aria nuova che fa bene alla mente e al cuore. E ora darei non so cosa per ammirare quelle distese di sabbia rossa con te.

17 novembre 2008

Pazzia d'amore

Orlando perse il senno per amore, impazzì e dovette ricercarlo sulla luna.
Bè, credo che oggi impazzirò d'amore. Impazzirò per te. Piango sulle tue lacrime. Sento il tuo dolore che mi rattrista e mi spaventa perchè temo possa cambiare la percezione che hai di noi. Oggi è il 17 e ha un doppio valore. Nostro e tuo, ma io considero anche il secondo nostro anche se non ero a Venezia due anni fa, non ti ho telefonato io e ora non sono con te all'ospedale. Eppure forse sono lì, sì amore sono lì a darti quella forza che ora non trovi. A farti capire che non sei solo. Ed è sempre tutto un casino ma ho così forza oggi che posso sostenere entrambi. Ti prego, appoggiati e piangi con me. Ti sosterrò sempre.

"Nulla mai nell'universo va perduto. Le cose perse in terra, dove vanno a finire? Sulla Luna. Nelle sue bianche valli si ritrovano la fama che non resiste al tempo, le preghiere in malafede, le lacrime e i sospiri degli amanti, il tempo sprecato dai giocatori. Ed è là che, in ampolle sigillate, si conserva il senno di chi ha perduto il senno, in tutto o in parte.
La Luna quella notte passava proprio vicino alla montagna. Astolfo e san Giovanni Evangelista, salendo sul carro d'Elia, vedono il corno lunare farsi enorme e la Terra, là in basso, impicciolire, diventare una pallina. Per distinguervi i continenti e gli oceani, Astolfo deve aguzzare le ciglia.
Passando la sfera del fuoco senza bruciarsi, entrano nella sfera della Luna, d'acciaio immacolato.
La Luna è un mondo grande come il nostro, mari compresi. Vi sono fiumi, laghi, pianure, città, castelli, come da noi; eppure altri da quelli nostri. Terra e Luna, così come si scambiano dimensioni e immagine, così invertono le loro funzioni: vista di quassù, è la Terra che può essere detta il mondo della Luna; se la ragione degli uomini è quassù che si conserva, vuol dire che sulla terra non è rimasta che pazzia"
(Orlando Furioso raccontato da Italo Calvino).

13 novembre 2008

Patatrac

E chi se lo aspettava? Oggi verrei a rapirti. Hai bisogno di aria e di silenzio. Hai bisogno di me, lo sento. Io ho bisogno di stare con te.

12 novembre 2008

Sì, lo voglio

Lotterò con le unghie e con i denti per noi. Non permetterò che attese, titubanze, empasse, incapacità di decisioni o di creare momenti topici ci rubino quanto abbiamo creato. Stamani ho maturato una sensazione già viva e forte: hai bisogno di me anche per prendere la scelta più difficile della tua vita. Quello che voglio che tu capisca è che non ci saranno tragedie. Non le vorrà nessuno. E io non ti voglio a metà. Ci saranno soluzioni che aprono prospettive diverse da quanto viviamo ora. Ci saranno nuovi equilibri da creare. Ma equilibri. Dobbiamo solo capire come ricercarli. E sono convinta di una cosa: insieme siamo forti e risolveremo tutto. Ho troppa voglia di noi, troppa voglia di futuro.

3 novembre 2008

Citazioni

La vita è una grande lotteria di inutili tragedie. Alla fine, direbbe Ethan Hawke a Lelaina in un film che ti farò vedere (Giovani, carini e disoccupati) "Vedi, non ci serve altro (sottointendi per essere felici): un paio di bagel, due tazze di caffè e un po' di conversazione. Io e te e cinque dollari". E lo so che ti starai chiedendo ora cos'è il bagel.. e penso sia una schifezza americana tipo pane dolce.. Ma che importa. Il senso è che ieri e stamani noi abbiamo fatto un'inutile tragedia. Ma come sempre è ormai nel nostro copione siamo tornati più innamorati che mai. Mi manca solo condividere quei cinque dollari seduti vis à vis in una panchina.. scena che nel film finiva con un bacio (teatrale, lo so... ma dai, mi conosci!)..
Aspettando la nostra scena in divisa..

30 ottobre 2008

Pane e burro

Io e te come pane e burro. Ho pensato a questo stamani. La frase mi ricorda un film ma non ricordo quale (maledetta memoria). E girovagando in internet ho trovato un blog con questo nome. L'ho letto, ne ho condiviso alcune frasi ma mi sono sentita fortunata nel non condividerne altre. La fortuna di averti trovato, oggi ha il sapore e l'amalgama del pane e del burro. L'uno rende soffice e saporito l'altro, danno forza e calorie per affrontare un'intera giornata e dio solo sa quanto fanno bene alla salute.
Riniziamo. Buongiorno tesoro. Oggi sono venuta a lavorare a piedi. E ho il tuo odore ancora addosso. La casa sa di te e i piatti sul lavello con i bicchieri di vino ancora mezzi pieni sanno di noi. Piccoli gesti di vita quotidiana preziosi perché rari. E chi l'avrebbe mai detto che stiamo male a saperci uno in una stanza diversa dall'altro? A fare cose diverse o a non condividere una risata di un film? Siamo questi noi tesoro. Pane e burro. Magari un giorno non saremo più così, chissà. Ma adoro non riuscire ad andare a letto senza te. Adoro addormentarmi scomoda sul divano per aspettarti. Adoro condividere ogni secondo di cui se non ne bevo ogni goccia mi sembra di non averti vissuto abbastanza.

16 ottobre 2008

Quel fisioterapista di Lecce ...

Il panettiere continua a chiedermi di te. Sai, ci parlo da mesi ma ho scoperto solo ora il suo nome: Paolo. La moglie si chiama Chiara. Sono la mia parentesi di vita in pausa pranzo. Mi scaldano la piada o un pezzo fugace di pizza e io sto lì a mangiarla con loro. Mi vedono dagli occhi se sto bene o male. E negli ultimi giorni li avevo appositamente evitati. Oggi no. Sono entrata con un sorriso a ventisei denti (tanti quanti realmente ne ho in bocca) pronta a sentire che appartamento avevano oggi da proporci. E si sono perfino scomodati a chiedermi se sabato ti porto da loro. Sono curiosi e so perché: leggono amore nei miei occhi e anch'io - e fossi loro - vorrei capire a chi è dovuta tanta dovizia di attenzioni. Poi ci sono Carlo a Antonia e questi li conosci anche te per aver pagato i conti grossi e per la fatidica domanda - a dire il vero assai inaspettata -: a quando i confetti? Ti manca Loris che è il gestore del secondo bar, quello che scelgo quando voglio stare comoda e anche lui mi fa la radiografia allo sguardo e sa che quando è assente è perchè ho il cuore altrove. Penserai che giro con i manifesti attaccati, e che ogni occasione è buona per aprire bocca. No, tesoro. Sono la donna più riservata del mondo; è che parlano i miei occhi per me e non posso nascondere le lacrime siano esse di gioia o tristezza. Tutti ti amano ancora prima di conoscerti e questo è per me fonte di gioia enorme. Così, mentre tornavo indietro in ufficio - nell'attesa di incontrare Angelo (??) il fisioterapista di Lecce che aveva capito da subito in cosa si era imbattuto sul quel treno - ho seriamente pensato... abbiamo un bel po' di testimoni...

Nebbia

Mi mancava. Quell'impalbabile grigio umido bagnato che si attacca alle ossa, arriccia i capelli e annulla il mondo. E te sei lì come in una bolla di sapone, ovattata e crespa, a cercare le linee delle cose e recuperarne i colori. Stamani sotto le coperte mi sei mancato come mai. Ho il tuo odore sul cuscino che abbraccio appena mi sveglio. Sai com'è, involontariamente finisco sempre di là, a cercarti per scaldarmi le membra. Spero di vederti oggi. Ma deciderà il caso per noi, come sempre.

15 ottobre 2008

Ricordi di una sera a teatro

Mezzanotte. Mi sento una cenerentola destinata a non perdere la sua scarpetta.
Cerco rifugio in solitari pensieri tra le vie della mia città. La nebbia pesa sulla fronte e bagna le strade come pioggia. Pochi incontri. Solo il fiume, dietro di me, di gente che esce da teatro. Chiusi nel cappotto. Berretto basso e sciarpa alta. Poche chiacchiere stasera. Fa freddo. Scruto attraverso il grigio. Frammenti di una città senza voci. La statua di Vittorio Emanuele che qualcuno ha osato proporre di togliere dalla piazza, le vie vuote che aprono le loro prospettive, i palazzi antichi sopra le vetrine dei negozi. Così alti che spesso si fa fatica a sollevare il mento per ammirarli. L’ordine simmetrico delle auto parcheggiate ai lati del corso, i papiri di laurea che addobbano sempre quei tre angoli, crocevia di curiosità. E i portici che, se non si presta attenzione, si rischiano macchie indelebili. Un altro regalo da parte dei pennuti abitanti appollaiati sui ferri degli archivolti.
Solo profumo di vento attorno a me. Mi si avvinghia addosso. Lo respiro, lo riconosco e lo porto a casa.

13 ottobre 2008

Torno in me

Centrifugata dalle mie stesse emozioni. Avrei scritto fiumi in questi giorni ma mi sono tenuta dentro molto e poi te l’ho sbattuto in faccia senza difese. Hai visto la parte più pura e vera di me. Quella parte che per paura non ho mai mostrato a nessuno nemmeno a me stessa. Me ne sono resa conto stamani di quanto ero e sono debole e indifesa quando parlo col cuore. E ora ne sono sicura: nella mia vita prima d’ora non sono mai stata innamorata. Lo credevo. Sì, l’ho creduto una volta e sai con chi. Ma ne ero lontana anni luce. Era altro. Non il cuore che parlava. Perché quando parla il cuore, l’ho sentito, sono un’esplosione irrazionale di sensi. E io, amore mio, sono terribilmente legata al tuo cuore. Ti sento quando soffri e quando stai male. Ti sento quando sei felice e ti sento quando sei lontano. E io non posso nemmeno immaginare una vita senza te. E io non posso nemmeno immaginare che esista qualcuno più innamorato di noi. E sono sensazioni nuove che forse devo imparare a controllare, non so. Sono emozioni di vita che però voglio vivere anche nella loro tristezza perché racchiudono un senso alto e profondo che è un amore vero. E se penso che la nostra storia è iniziata per caso. Che si è nutrita con due libri incrociati come Novecento (una favola) e L’amore ai tempi del colera (un romanzo, anzi, il romanzo d’amore). Se gode di colori che solo noi sappiamo dipingere, della tua musica e delle mie righe. Se è pieno di foto mai scattate ma così impresse nella mente. Se è già un libro pensato e non ancora scritto per paura del finale (quello scenico, non certo il nostro). Se vive di teatro e di colpi di scena. Di risa e di pianti, in ugual misura. Dio mio (penso): sono la donna più fortunata del mondo. E sì, rispondo a ieri sera: sarò la tua donna per sempre. Contaci, non vorrei altro ruolo che questo. Perché io ti avrei già sposato mille volte. Io ti avrei già accolto in me con tutto quello che mi puoi dare. Perché non ho più paura (altra conquista): non ho più paura di quello che oggi considero la cosa più grande e bella che possa capitarci.

9 ottobre 2008

Un po' d'aria

Strappo cinque minuti del mio tempo per me stessa e per noi. Per scrivere quello che da ieri mattina mi passa per la testa e che ho bisogno di dire. Ho ripensato a piccole cose della mia infanzia che mi hanno reso felice. Ho pensato a quell'unica volta che mio padre mi venne a prendere a scuola. Quello stupore nel vedere lui e non la baby sitter, quel sollievo nel consegnargli lo zaino e fare quattro passi verso casa raccontandogli la mattinata. Ho pensato a quel venerdì di ogni mese che mia madre aveva il giorno libero da scuola e nel pomeriggio si usciva in bici (mia sorella davanti e io dietro attenta a non inforcare i piedi nei raggi delle ruote) e si andava in quel negozio affollato di giocattoli a comperare un accessorio per le Barbie. E se ero stata brava anche un nuovo puzzle che avrei costruito la sera con mio padre pezzo dopo pezzo.
Hai il dono di svegliare emozioni che ho ben presenti nel cuore e lo fai con racconti dolcissimi di una mattinata speciale. Ti rompo sempre per sottolinearti di non rendere nulla normale e banale anche quello che potrebbe esserlo perché nella vita siamo noi a rendere ogni cosa speciale. Per come la viviamo e per come la ricordiamo. Ieri sera prima di tornare a casa ho fatto due passi in centro da sola. Mi sono presa un mucchietto di castagne e mi sono scaldata le mani. Ho passeggiato guardando in giro le persone. Le coppie. Ho visto mille romanzi nei loro occhi ma ne leggerei pochi. Ci sono sguardi spenti in giro, amore. Ci sono poche emozioni o forse la gente ne sa trasmettere poche. Ci sono vite banali, rituali, normali. Non voglio nulla di tutto ciò. Voglio emozionarmi quando andrò a prendere mia figlia a scuola. E quando aprirà un mio regalo. Voglio ricordarmi quel giorno. E voglio che lei se lo ricordi come un giorno speciale. Voglio emozionarmi ogni volta che ti vedo. Voglio che la gente in giro veda e sappia cosa siamo e proviamo.
.. e solo per ricordarci questo giorno, ho puntato i nostri numeri.

30 settembre 2008

Sorpresa

E mi ritrovo a piangere come una bimba per tre parole scritte in una pagina internet nostra, personale e mai scontata. Mi trovo a cercare pezzi di te ovunque. A bramare di averti accanto sempre, anche mentre lavoro. Ieri mi hi detto una cosa stupenda: voglio tornare a leggere i nostri libri. Nostri. Sì, nostri. Li vedo già doppi in quella libreria in salotto e ovunque in casa. Ma soprattutto rivedo l'effetto che avranno ora su di te. Leggere è come sognare. E leggere righe e parole che io ho adorato è come continuare incessantemente a nutrirti di me. E dio solo sa quanto vorrei nutrirti io ogni giorno. Ho voglia di accudirti con la tenerezza di una madre, amarti con la sessualità di una donna, coccolarti con la dolcezza di una compagna, ascoltarti con la pazienza di un'amica, farti viaggiare con la creatività di una scrittrice, confrontarmi con la sapienza di una professionista che sa cosa vuol dire lavorare e lavorare bene. Voglio che le tue camicie odorino del mio ammorbidente e che la tua bocca assaggi le mie torte. Voglio il mio uomo sul nostro divano la sera per chiudere la giornata insieme e voglio il mio uomo la mattina sul nostro letto per iniziarne un'altra insieme. E voglio quel batuffolo scodinzolare ovunque. Quanto mi manca, quanto gli voglio bene.

29 settembre 2008

.....sarà per sempre!.....

IO.....TI.....AMO....

4 settembre 2008

Rituali settimanali

Se solo sapessi... che la mia preparazione parte dalla sera prima. Se solo sapessi che ogni cosa è quasi studiata alla perfezione. E tutto questo nell'attesa di un sms o chiamata che mi dica che verrai da me. Se sapessi che ieri ho piastrato i capelli perché mi vedessi più bella. Ho indossato le lenti stamani (e di norma porto sempre gli occhiali). Sapessi con che cura ho scelto i vestiti e l'abbinamento della borsa dopo che quella volta mi sottolineasti quel marron che strideva col blu. E poi ancora il trucco agli occhi e il profumo che spesso dimentico. Ma stamani no. Se solo sapessi che in frigo c'è il latte accanto al breezer e ai kinder pinguì. Se solo sapessi quante piccole e insignificanti ma importanti cose faccio e continuerò a fare per te. Perché ti adoro.

3 settembre 2008

Eterni adolescenti

Chissà come sarebbe la nostra vita se ci fossimo incontrati dieci anni fa. Non dico per avere meno anni e una foto diversa nella carta d'identità. Ma per non avere eternamente in mano quell'aggeggio infernale che nella mia vita è entrato solo nel 1997 ed era un Motorola 8900. Lo ricordi? C'era perfino l'antenna da alzare per captare meglio il segnale. Buffo. Eppure come avremmo fatto ieri sera? E l'altra ancora? Come avremmo potuto, nel nostro essere eternamente girati di spalle al flash fotografico della vita (e quella foto che ho appeso in casa è la nostra vita) a comunicare? Ieri ho provato imbarazzo di fronte alle persone che mi guardavano come un'aliena. E anche oggi mentre prendevo la piadina e passeggiavo per strada ascoltando se arrivava un bit. Non sono una tecnologica e non ho mai amato il telefono. Ma quanto adoro sentirti e sentirmi vicina. Esprimiamo un bisogno adolescenziale che ci rende forse immaturi agli occhi dei più ma talmente speciali ai nostri da capire immediatamente che senza l'altro, in posti diversi, senza quel racconto, quel voler sapere, quella presa di vita diretta che ci è negata ora.. siamo a metà. Viviamo di echi di voce, ricordi gio? Di rimbalzi perché ardiamo dal desiderio di essere insieme. Di fare insieme. Siamo visionari. Abbiamo bisogno di immagini e di suoni. Tutto per dipingere a perfezione anche i particolari. E allora, viva la nostra adolescenza. Tiene l'animo in agitazione, fa sospirare, bramare, accelera il battito e ci torna quella centrifuga emotiva che è sangue, passione, desiderio inesuribile che non si estingue e non si placa. Ma cresce, cresce, cresce. E spero non finisca mai di stupirci.

27 agosto 2008

Piazza Nogara

Ho pensato a noi da stamani. Dopo quell'incubo che ho deciso di lasciare sotto le lenzuola perchè non mi rivinasse la giornata. Quell'abbandono temuto che so, ne sono convinta, non diverrà realtà. Non con questa posta in gioco. Il noi stamani era un aperitivo in uno squallido bar alla periferia di Verona. Non chiedevo nulla di più. Non avrei nemmeno osservato il contesto. Chissenefrega di dove saremo stati, dei tavolini intorno stile country o da bar sport e degli occhi puntati e invidiosi di un'esclusività unica e rara. Mi sono fatta i capelli, sapendo che per te ero già bella. Ma volevo esserlo di più. Ho scelto con cura i vestiti e, come già aveva immaginato leopardi nel sabato del villaggio, il piacere della mia giornata stava tutto nell'attesa di te. Sarebbero stati 30 minuti, forse sessanta. Magari con il latte in mano dentro un supermercato e una confezione di birre che avrei odiato per non poterne bere nemmeno una (ricordi?). E volevo parlare con te. Da quell'sms di ieri sera sul tuo miracolo notturno e quella manina che ho immaginato dio solo sa quanto. La mia giornata, la tua. Questa continua voglia di viaggiare. E di dirti di ieri, delle chiacchiere, del nostro beautiful personale che ci rende forti e diversi. Dove le vite degli altri diventano film da commentare. E volevo parlare dei nostri divani. Di film e trasmissioni viste a settanta chilometri di distanza. Di sms che bruciano soldi in tessere e conti bancari. Della voglia di dire e ascoltare e dire ancora e ascoltare. Più mi guardo intorno più riscopro il tesoro che mi è capitato. E ne trovo conferma ogni sacrosanto giorno.

26 agosto 2008

Il mio cuore sta bene, non avevo dubbi. Sta solo in un corpo esile, a volte maltrattato, capace di ritagliarsi un'ora di corsa solo una volta a settimana e di riempirsi di stress in ogni occasione. Mi manca il nuoto. Lo sentivo a pelle. Ora lo sento anche psicologicamente. Mi manca l'acqua. Tutto stamani mi faceva tornare a quel respiro cadenzato, a quelle boccate d'aria così preziose per un cervello in apnea. Te hai bisogno di muoverti, mi ha detto il medico. Da ferma ti stanchi. Vero. Non sono nata per non fare. E quando dico che ho la mente piena di idee, di cose, di desideri è questa forza che esplode. Devi scrivere, mi ha detto il signore col camice bianco. Crede che non lo faccia? Sapesse.. e ho sospeso la conversazione. Sapesse.. Ha qualcuno con cui parlare? Già. E' questa la novità. Ci sei tu e mai come ora parlo di me. Mai come ora ho scelto di non chiudermi e non fuggire in quei lunghi silenzi che hanno sempre riempito la mia vita dove avevo scelto, forse forzatamente, di bastare a me stessa e non aver bisogno di altri. Non è così. E io so quanto sei prezioso al mio cuore. Sei te che cadenzi il suo battito, lo acceleri e lo calmi. Quel suono sordo che oggi sentivo nell'ecografia e che ancora una volta mi ha fatto pensare a quel nome. E al suo piccolo battito. Mi sei mancato anche stamani. Ma eri lì e la mia mente è volata come sempre altrove. Dove lo puoi sapere solo te.

25 agosto 2008

Sognando Istambul

Ho iniziato la mattinata scaricandomi Debussy. Ascoltando quelle mani che scivolano sui tasti e pensando alle tue. Eri tu che suonavi stamani. E suonavi per me. Mi è venuta voglia di viaggiare in lughi esotici assolutamente lontani dal nostro occidente ma per questo più affascinanti. Ho pensato al freddo, all'inverno e a due persone che adorano Venezia. Ho visto una città d'acqua e un ponte proteso all'infinito con il cielo tinto di rosa al tramonto. Ho sentito il tempo fermarsi per tutta la vita. E negli occhi la stessa promessa scambiata in riva al Tamigi. Ho il cuore che trabocca oggi. E' intriso di tutto. Ci sono emozioni a trecentosessantagradi da sputare tutte d'un fiato senza respirare nel mezzo per non perdere forza. E poi c'è la continua voglia di tutto, questa irresistibile voglia di fare mille cose in un secondo. Ho una progettualità irrefrenabile che mi destabilizza e mi toglie l'equilibrio. Ho la testa piena di idee. Le membra di passione. La musica mi fa esplodere il mondo che ho dentro. L'ha sempre fatto, ma la tua è una fonte di ispirazione doppia a cui voglio bere per colmare le mie lacune. Voglio che il tuo mondo entri dentro il mio e voglio che mi arricchisca. Voglio rinnamorarmi ogni giorno di un lato nuovo di te. Voglio che il mio amore cresca all'infinito. Voglio che non abbia mai fine.
Ti porterò a Istanbul. Sento che fa per noi. Sento che nessuno potrà toglierci quel silenzio intenso e rumoroso mano nella mano, occhi contro altri occhi. Con il mondo intorno che non si ferma e noi che siamo soli. Lontani. Irragiungibili.

20 agosto 2008

Voltate a sinistra e imbarcatevi

La nostra abilità, che è spontanea e per questo splendida, è sempre stata quella di saper condensare tutte le emozioni in poco. Abbiamo sempre avuto poco tempo per noi. Sempre troppo poco. Ma dio quanto bene abbiamo saputo gestirtlo e riempirlo di significati, anche nei silenzi e nelle pause. Anche nel «non fare» siamo speciali. Ti amo. E ti amo ancora di più oggi. Dopo giornate come quella di ieri, dopo Pisa, Trieste, Genova e Sottomarina (caspita, quante poche giornate intere ci siamo regalati in un anno) sono più forte e sicura di noi. Ti sento innamorato. Sento che stai bene. E so che anche tu percepisci il mio stare perfettamente in sintonia con te. Vorrei non finisse mai il tempo insieme. E sono sempre sempre pronta a mille Rovereto. Ieri sarei stata ore a quel tavolo a parlare a Valeggio. Ore in macchina a guidare. Ore su quel divano. Ore stesa nel letto. Ti rendi conto di cosa significa non annoiarsi? Non volere che finisca mai? Io non pensavo. Non pensavo di poter provare qualcosa di così grande. Ci vedo da vecchi quando non avremo altro che l’uno per l’altra e l’unico bisogno di farci compagnia sorridendo di ricordi. Splendidi ricordi. Sono sicura che avremo la stessa complicità di sempre. Ti voglio per tutta la mia vita. Mai stata tanto sicura come da quando ti conosco. Mi metti forza, determinazione. Mi rendi più bella dentro e fuori. Mi sento donna. Mi sento sicura e protetta. Mi sento me stessa. Mi sento unica ai tuoi occhi. E sono stimolata a fare e dare di più. Stimolata a stupirti con un tacco, una citazione riacciuffata dopo anni, uno sguardo, un commento. Che non è competizione, anzi! Non è spavalderia. E’ confronto. E’ un bellissimo confronto dove sono me stessa. La miglior me stessa. Ho la testa che mi esplode dalle cose che mi stimoli a fare e che vorrei fare. Il cuore invece è già esploso. E il mio sentimento sta nelle lacrime non trattenute, nell’abbraccio dolce in auto, e nell'intimità spinta sul divano. Sta nel contatto della pelle: come ti ripeto sempre mi accorgo di essere innamorata appena tocco la tua pelle. E’ magia. Ma quanto mi fa stare bene. Quanto mi fai stare bene.

16 agosto 2008

Vicino a San Candido

Sveglia alle sette e un quarto. Apro gli occhi e mi rigiro dall’altra parte. Troppo caldo sotto le lenzuola ma fuori piove. Allungo il braccio ma non ci sei al mio fianco. Ho bisogno di calore e del tuo corpo. Ho bisogno di ascoltare il rumore della pioggia raggomitolata a te. Il primo piede esce alle otto, segue il secondo. Inforco gli occhiali e cerco lo specchio del bagno. Devo aver litigato col cuscino a guardare i capelli arruffati e boccolosi. Non sento voci, né rumori. Sono in casa da sola, come sempre. La situazione ideale, quella che preferisco. Silenzio. Adorabile. Tranne ora. Tranne adesso che risuona come un vuoto. Ed è vuoto di te. Sono mura di una casa che ho preso come mia ma che ora considero nostra e ti vedo ad ogni angolo, trovo le tue cose e i tuoi piccoli segni ovunque. Due fette di pane con il miele e l’odore del caffé che esce dalla moka in attesa che il cellulare squilli con un sms di buongiorno. Una promessa, la nostra mai pronunciata e sempre mantenuta: leggersi al mattino e alla sera: è il nostro buongiorno, la nostra buonanotte. Per sentirci vicini, insieme. Per dirci che ci amiamo sempre anche a chilometri di lontananza. E fuggo con la testa tra le montagne lassù in quel paese di cui non mi ricordo il nome ma se potessi ti raggiungerei all’istante. Sorseggio il caffé e ripenso a ieri. Soffermandomi sulle emozioni, le tue, che trasmetti. E che diventano mie. Nostre. Ti penso. Penso ai monti che hai scalato per chiamarmi. Penso alla tua sottile ironia che vuole sdrammatizzare il tutto. Penso alle battute, alle risposte che mi dai e a quelle che non mi dai. E ti devo chiedere cento volte perché. Ti scrivo. Mi rispondi. Torna la normalità apparente. Rispondo. Rispondi. Ma poi devo staccare. Mi vesto e la città è vuota. Non c’è nessuno ma così è preziosa. Parcheggio ovunque e senza problemi. Cammino con l’acqua che bagna i piedi. S’inizia col lavoro. Telefonate su telefonate. Correggo le bozze, rileggo titoli e tabelle. Controllo numeri. Poi un altro tuo sms. Sì, mi ami. Lo so, lo sento. Vorrei solo che fossi qui. Non me ne frega più nulla del lavoro. Vorrei scappare e godermi il mio uomo. Chiama bea, stasera non si va a treviso. Peccato, starò sola a Padova. Una solitudine forzata, ma è meglio così. Chi mi conosce in questa settimana non capirebbe il mio stato. E non riesco a ridere come sempre. Non riesco ad essere quella di sempre. M’incanto davanti al monitor del pc. Guardo le mail e ho voglia, bisogno immenso bisogno di scrivere. E’ il mio sfogo è l’unica arma che conosco per parlare liberamente, per esternare un’emozione. Mi sono immaginata tutta la scena. Parola per parola. Il mio tempo è già a domenica. Il mio calendario non vede altra data. Vivo nell’attesa del tuo ritorno e mai mi sarei vista come una Penelope ansiosa di riabbracciare il suo uomo. E sono anche andata avanti di vent’anni. Strano, tu non eri vecchio. Io, invece, non mi percepivo se non come presenza. Anche adesso sono lì con te. E c’è solo il rumore delle onde. Solo la pace dei miei sensi. E una tranquillità interiore che solo la tua presenza sa darmi. Quanto possono dare poche parole sentite e ben scritte, anche solo via sms. Quanto puoi dare tu. Avrei voglia di acqua ora. O meglio di una sauna. Nuda. Chiudo ancora gli occhi. Il tepore che diventa caldo. Il corpo bagnato che si distende. La muscolatura si rilassa. La mia pausa da tutto. Musica in sottofondo. Nessun rumore. Tu appari e ti percepisco dal tatto. Sciolgo i capelli. Tu mi accarezzi e io tengo gli occhi chiusi. Mi sfili l’asciugamano ed entri lentamente in me. E m’è tornata voglia di essere totalmente tua. Fisicamente. Oggi, ancora più nostalgia di te.

21 maggio 2008

Tributo d'amore

Piaci a tutti e questa è una mia conquista personale. Ho passato mesi a parlare di te senza che nessuno ti avesse mai visto o incontrato. Eri diventato il mio uomo invisibile, quello che a stento poteva esistere visto la perfezione con cui ti descrivevo. Ma te esisti e sei al mio fianco. Meno di quello che vorrei, in modo diverso da quello che aspiro ma con degli attimi che a volte valgono più di ventiquattrore. Frammenti di tempo raccolti, e strappati ai mille doveri e impegni, che si bloccano nella mia mente e fermano le emozioni, lievitando anche nella tua assenza la loro carica di benessere. Sì, benessere. Mi fai stare bene e questa è una situazione invidiabile. E capisco chi non comprende. Capisco chi, conoscendo gli arcani, non può entrare in questa visione. Non può arrivare al dunque, ovvero: che anche in situazioni imperfette, dove non esiste un percorso predefinito, nè il fidanzamento con la rincorsa all'anello e all'abito bianco, la villa in campagna a due piani, un lavoro a tempo indeterminato e la solita cena alle otto di sera... può esistere un amore che di tutto questo se ne strafrega. Perchè ha molto di più. E non deve dimostrare nulla all'esterno della sua perfezione. Solo un'intesa basata su piccole ma fondamentali certezze della vita: chi siamo e cosa vogliamo costruire per noi, prima da soli, poi insieme.

13 maggio 2008

Palermo differita

Ssssst. Silenzio. Voglio ascoltare il sottofondo. Musica che si espande dalla cornetta del telefono, tasti di pianoforte pigiati da esili dita in una via rumorosa del centro. Chiasso e vociferare alto di persone dalla pelle olivastra già stanca del sole; odore di folla e di asfalto che trasuda dal marciapiede che chiede piedi nudi da sporcare di nera pece. Sento il fioco vento che s'infrange sulle palme e immagino un viale affollato di tavolini, sotto freschi gazebi, e centinaia di sguardi che s'incrociano per pochi secondi con i tuoi occhi per raccontarti una vita. La vedi attraverso uno specchio e il racconto di loro ti inonda come un quadro in una vecchia galleria carpisce la tua attenzione. Ti focalizzi su di lui ed entri in quella miriade di punti e di segni di un pennello attento e frettoloso che ha segnato sul bianco una storia fatta di piccoli pezzi assemblati. E tutto intorno diventa silenzio perché la tua attenzione chiede pace per dare un valore a quello sguardo triste, malinconico, felice, appagato, sornione o solo spento. Vivi di echi, di rimbalzi di voce. La tua vita prende senso dall'esclusione di tutte le altre vite che scavate lentamente in pochi secondi, nella loro estrema differenza, hanno in comune solo il non essere per nulla in simbiosi con la tua. La mente torna ad appartenermi e le tue parole bloccano la musica dalla cornetta del telefono. Ora parla, racconta come vedi la città che io ho costruito sull'invisibile ricchezza dei suoni. I tuoi occhi osservano per i miei ma io scruto quello che non puoi vedere. Un uomo solo col cuore altrove, apolide per nascita dalle radici forti che non ha mai sradicato e che ha bisogno di recuperare per ritrovare se stesso. In cerca sempre di altro da sé per confermare il sé. Il mondo ti ha arricchito e ti ha aperto all'umanità varia che desta interesse e curiosità di entrata. La ricerca dell'altrove è stato l'unico stimolo per allontanarsi dalle certezze, vivendo di corsa. Ora però stai recuperando il gusto dell'emozione che si blocca e del tempo privo di spazio da condividere, dove l'essere fuori da te è l'unico modo per riannodarti a te. E dove qualsiasi posto del mondo non vale quanto quel piccolo angolo che chiami ancora "Il tondo".

8 maggio 2008

Padova 7 maggio

Divano, blu. Piccolo e scomodo. Due bicchieri di mirto aromatizzati dal sigaro senza filtro. Buio e due candele in penombra che si riflettono sul muro illuminato a stento dalla finestra della soffitta mansardata. Song degli anni Trenta e profumo di doccia e di pelle che si fonde con l'odore della casa. Il tempo non è segnato dall'orologio. Lui non lo porta e lei lo ha abbandonato sul mobile di fronte. I suoi vestiti sanno di pulito e di una dolce riscoperta ogni volta che vengono tolti dall'ultimo scaffale dell'armadio e indossati. I piedi freddi cercano un'insenatura sotto il ginocchio e gli occhi seguono il passaggio di mani del sigaro e le folate di fumo che escono dalle bocche e salgono verso l'alto. Se fosse un film non avrei dubbi: Bonnie e Clyde dopo una rapina, col bottino sparso nel letto e la pace nell'animo di due persone furbe e soddisfatte, complici e trasgressive, con la conquista negli occhi e l'amore nel corpo. Ma il fumo rimanda a una vecchia scena parigina del Moulin rouge: lei ha appena finito di ballare e si siede per togliere il fiato all'unico uomo degno di averla a fianco, già individuato con attenta osservazione mentre era sul palco a muovere la gonna piena di balze. Il collo ancora sudato tralascia una goccia che scende verso l'incavo. E tutto quello che servirebbe ora è un cubetto di ghiaccio per rinfrescare. La mente vola sempre oltre e l'immaginazione toglie da sola il fiato. In questo caso, però, la realtà vera e vissuta è molto meglio. Ha i sapori genuini di due persone che nell'intimità della loro casa, spogliati dall'essere professionisti - o fantozzianamente parlando "persone piegate al sistema" - colgono appieno il valore delle piccole attenzioni, delle cose semplici, delle abitudini mai avute, e per questo tanto desiderate e attese, dei sogni comuni e banali ma dai significati intensi. Come quello di raggomitolarsi al sole tra la sabbia calda e l'odore di vento e mare, la salsedine nei capelli e il sale sulle labbra. Di scrivere insieme un pezzo di storia di un film che nelle menti è già memoria di un percorso eccezionale e accelerato nei tempi e negli spazi. Di suonare a fianco un pianoforte a coda in una stanza sconosciuta piena di mobili antichi che odorano di storia. Di affacciarsi a una terrazza vista fiume, o meglio vista mare (quel mare) per chiudere gli occhi e ascoltare il rumore dell'acqua che s'infrange sugli scogli. Di guardare un solo film di repertorio ma ignoto a entrambi con i piedi intrecciati e un fazzoletto per asciugare le lacrime. Di divertirsi per strada in un bagno di folla e sentirsi bambini nel sorridere al mondo, incontrando l'umanità e osservandola nelle sue più strane accezioni, creando legami e relazioni e perché no, zingarando qua e là.. spontaneamente ispirati.