7 marzo 2021

Il salvataggio

Ieri, 6 marzo 2021, ho celebrato i miei personali 365 giorni a casa. Chiusa in un appartamento del terzo piano, per fortuna con vista sulle colline e un sentiero dietro casa da intraprendere nei momenti di stress per una sana boccata d'aria. Sì, aria. Ho bisogno di aria vera, sulla faccia. Ho bisogno di respirare. 

A distanza di un anno mi accorgo di come il Covid abbia influenzato la mia vita. Mi sono rinchiusa in casa dopo che un decreto mi ha imposto prima di non varcare la soglia, poi di centellinare le uscite, quindi di stare attenta e prendere tutte le precauzioni del caso. In un anno sono passata dal: "non si trovano più le mascherine" a una collezione di tutti i tipi, acquistate anche banalmente agli scaffali del supermercato: nere, grigie, di stoffa, alla moda. Ne abbiamo messe di tutti i colori e di tutte le forme, per capire dopo 365 giorni che forse è il caso di indossarne due; per essere davvero protetti, la regola di base è che devi far fatica a respirare. Siamo passati dai guanti usa e getta, quasi introvabili, agli igienizzanti perpetui che hanno irrigidito ogni pelle dei polpastrelli. Sono rimaste le code fuori dai supermercati, i semafori rossi e i negozi vuoti. D'altronde, non so voi, ma da quando il mio abito quotidiano è la tuta (ovvero il pigiama o degli oramai lisi leggings) non compro più nulla, neanche in internet. Rimettere i tacchi cinque giorni fa mi ha procurato pure il mal di schiena, tanto vi sono disabituata. Ho scordato cosa sia un rossetto, un paio di orecchini e pure il reggiseno. Ma non è solo questo il mio bilancio, a un anno di isolamento. 

Mi mancano due cose: viaggiare e abbracciare le persone. 

Il mio essere veneta non mi ha mai reso il contatto una dinamica favorevole, ma quelle poche persone che avevo voglia di sentire davvero nel loro palpitare quando ti avvicini per odorarne il profumo, mi mancano. Mi manca andare alla scoperta del mondo e delle sue genti e culture. Assaporare il diverso, il lontano. Mi manca conoscere. Mi sto impoverendo, questa è la vera grande eredità del covid che ha reso tecnologico e digitale tutto, ma la tecnologia ci impoverisce. Ho scoperto che il pensiero e quelle poche idee che ancora partorisco nascono quando spengo il video e il cellulare. Quando cammino e mi immergo nel verde, nei colli. Quando respiro.  

Il lavoro ci sta usurando rendendoci più efficienti e costantemente reperibili e operativi. E' vero: sono più efficace di prima, faccio il triplo delle cose. Lo smartworking l'avevo già provato in tempi non sospetti e quando non si chiamava cosi. Lavoravo da casa perché ero precaria, collaboratrice, esterna. Ho fatto la giornalista per anni fuori dalle redazioni che ora sarebbero il mio ufficio. Il luogo dove scrivevo ogni articolo (a volte pure in Autogrill) non influenzava la qualità del lavoro perché non era legato alla redazione in sé ma al mio contatto con il mondo là fuori che raccontavo. Prendevo l'auto e andavo a vedere a sentire con i miei occhi. Ci parlavo davvero con le persone e nella scrittura non emergeva solo ciò che mi dicevano ma l'atmosfera, l'ambiente, i loro occhi, il loro sentimento da me percepito. Il video ci ha tolto tutto questo. L'ha reso arido. Fateci caso: quando non volete far trasparire una vostra emozione o stato d'animo, durante la videocall vi oscurate e spegnete la telecamera. Con la voce il linguaggio non verbale tace. 

E così ci siamo nascosti dal mondo. E io mi sono rifugiata in questo castello. Inizialmente mi ci hanno rinchiuso e ci stavo anche bene. Il pendolarismo disumano mi aveva consumato dentro come la cinghia della mia auto alla terza revisione in un anno e mezzo. Poi è arrivata la paura, quindi la disabitudine, infine la sconsolata evidenza che anche se andavo in ufficio cambiavo solo luogo ma non la modalità: perché ero lì, nelle stanze dell'azienda, ero sempre di fronte ad un video. L'unica differenza era il mio stile, l'abito e una brezza di normalità apparente. 

Non so come uscirò da questo castello. Se qualcuno prima o poi sventolerà un mazzo di fiori e mi farà scendere dalla scala di sicurezza. Da bimbe abbiamo sempre immaginato che, anche a noi, potessero toccare in sorte finali romantici e fiabeschi alla Pretty Woman. Purtroppo da questo appartamento dovrò uscire da sola e dalla scala principale, appena là fuori il mondo tornerà ad avere dei contorni di normalità. Facendomi forza e cercando di recuperare i sapori antichi delle vecchie abitudini analogiche che, spero, il digitale non ci abbia definitivamente privato. 

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