21 ottobre 2009

Schiavi del lavoro

Perché nascondersi dietro un dito? Ormai mi conosco abbastanza per capirmi fino in fondo e capire che in qualche modo gliela sto facendo pagare al mio capo. Ho passato anni a sentirmi rinfacciare, da mia madre per prima, che avevo il cuore di pietra, che andavo avanti per la mia strada senza accorgermi di chi avevo a fianco, che non mi interessava d'altro che di me e di cosa stavo facendo. Bè, nel tempo sono cambiata. E l'ha notato anche mia madre. Ora mi spacco per le persone, guardo ai loro bisogni e spesso i miei vengono dopo. Dò l'anima per una causa, se la ritengo giusta, al di là di quello che me ne può venire in tasca. E me ne viene poco, ultimamente. Ma te (capo padrone che mi hai preso e portato agli allori per poi farmi cadere in basso) hai tirato fuori il peggio di me. Al punto da trovarti insopportabile, oggi, perfino alla vista. E nonostante le mail carine, i "cara" di qua, e il "buon lavoro" di là, la sensazione è che tu ti diverta a comandare la gente senza mai gratificarla, farla sentire bene sul lavoro, senza mai accorgerti se quello che ordini ha un senso, o perlomeno se vale la pena condividerlo con chi lo deve eseguire. Bè, il lavoro per me è altro che non avere mai un grazie, un bene, una spalla con cui dividere responsabilità e compiti quando sono ammalata. E oggi, anche se non ero piegata in due, l'ho voluto fortemente stare a casa. Non voglio essere indispensabile. Non voglio lasciare vuoti. Voglio lavorare senza sentirmi una schiava. Quella che mi ricordi di essere ogni giorno nei tuoi toni. E forse ora è anche troppo tardi per rimediare.

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