17 marzo 2020

La vita ai tempi del Coronavirus /2

E' incredibile quanto il silenzio, dentro e fuori casa, stimoli il pensiero ma soprattutto l'emozione.
Non so voi, ma mi ritrovo con gli occhi lucidi a guardare con orgoglio, empatia e spirito nazionale/collettivo, gli italiani che cantano dalle finestre, i medici in corsia, i pazienti che con i loro video ci raccontano il dolore della  malattia, perfino i post di anonimi compaesani che rendono evidente una realtà che, fino a un mese fa, era distopica e, per questo, inverosimile.
Una sceneggiatura da Oscar e incassi record al botteghino che noi italiani abbiamo, con la nostra creatività, perfino ironizzato in vignette, fumetti, filmati amatoriali ai limiti della satira.

Stamani, mi sono chiesta (di nuovo): cosa ho imparato da questi primi nove giorni chiusa in casa in smart working?

1. Sono fortunata, perché ho un'azienda che tutela la mia salute. Se non avessi cambiato lavoro oltre un anno e mezzo fa sarei in redazione a solidarizzare con i colleghi di altri giornali per le situazioni  assurde in cui stanno operando molti giornalisti, costretti a misure di tutela solo dopo l'evidenza dei tamponi su alcuni colleghi. A loro va la mia piena solidarietà.

2. Sono felice di non essere sola. Lo dico senza mezzi termini. Se tutto questo fosse capitato anni fa quando abitavo in 50 metri quadri a Padova, senza avere al fianco il mio compagno, non so quanto e come ne sarei uscita. Perché, al di là di tutto, delle parole, della cena condivisa, di un divano da spartire e di due chiacchiere vere, anche io ho fatto i conti con le mie paure. Ma affrontarle in due è come dividere un enorme peso a metà.

3. Il lavoro agile o smart working ha senso se disciplinato e "contingentato" nel tempo: x giorni a settimana, x giorni al mese. Lavorare da casa, ininterrottamente, per un periodo così tanto prolungato porta con sé grandi opportunità (sia a livello personale che organizzativo/tecnologico) ma anche evidenti svantaggi. L'isolamento, per esempio. Nelle organizzazioni dove i flussi delle informazioni sono meno lineari e osmotici, dove il team non è forte e coeso, dove è più complesso far sentire ogni singolo collega parte di un tutto, il rischio è lo scollamento. Per evitarlo serve un effort maggiore a ogni livello.

4. Gli smartworker si dividono in due categorie: quelli che fanno finta non sia accaduto nulla e pur stando a casa costruiscono il loro set perfetto per le videocall, si preparano, vestono e acconciano come se andassero in ufficio e, de l'autre côté, quelli che volteggiano tra il divano e la scrivania in tuta o pigiama. Nel secondo caso, nella maggior parte dei casi, curano solo il mezzobusto come se dovessero andare in onda da anchorman nel TG delle 13. Poi, hanno finito il turno.

5. E' lapalissiano: le donne potrebbero stare a casa intere settimane ma gli uomini non ce la possono fare. Credo sia questione di dna e ora ne ho le prove. Il maschio deve uscire almeno per 15 minuti al giorno, per una qualsiasi motivazione.

6. Tra un paio di settimane dovremo fare tutte i conti con noi stessi allo specchio. Le donne specialmente. In assenza di estetiste, parrucchiere, massaggiatori e per alcuni anche chirurghi estetici, in assenza di extension, ciglia e unghia finte, di tinture per capelli, scrub e massaggi, saremo più naturali che mai. Ci guarderemo riflesse e dovremo avere il coraggio di riconoscerci davvero per quelle che siamo senza alcun filtro o ritocco. Chi si piacerà ancora, sarà in pace con sé stessa più di quanto non lo sia mai stata. E per le donne sarà più dura, credetemi.

6. A volte penso a quando tutto questo finirà e che cosa farò il giorno in cui tutto tornerà normale. Riprenderò la mia vita come se nulla fosse successo? Abbraccerò i miei genitori e le mie nipoti allo stesso modo? Cambierò qualcosa nel mio modo di comportarmi?

Io credo che non sarò più la stessa persona, quella che ero prima del 20 febbraio. Forse il cambiamento durerà poco e tornerò alla frenetica routine in un batter d'occhio ma temo non sarà così. Cambieremo tutti. Ognuno di noi avrà una memoria personale di quello che è stato. Tanto più tragica quanto più questo virus ci avrà toccato da vicino.
Ma potremmo, se lo vogliamo, essere migliori. Migliori dentro per le scelte che faremo, migliori fuori, nei nostri nuovi comportamenti con gli altri e con il mondo che ci circonda.
Cit. Ci vuole solo coraggio, o forse buon senso, per capire che le lezioni migliori sono di solito le più dure (Anthony Clifford Grayling).

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