16 agosto 2008

Vicino a San Candido

Sveglia alle sette e un quarto. Apro gli occhi e mi rigiro dall’altra parte. Troppo caldo sotto le lenzuola ma fuori piove. Allungo il braccio ma non ci sei al mio fianco. Ho bisogno di calore e del tuo corpo. Ho bisogno di ascoltare il rumore della pioggia raggomitolata a te. Il primo piede esce alle otto, segue il secondo. Inforco gli occhiali e cerco lo specchio del bagno. Devo aver litigato col cuscino a guardare i capelli arruffati e boccolosi. Non sento voci, né rumori. Sono in casa da sola, come sempre. La situazione ideale, quella che preferisco. Silenzio. Adorabile. Tranne ora. Tranne adesso che risuona come un vuoto. Ed è vuoto di te. Sono mura di una casa che ho preso come mia ma che ora considero nostra e ti vedo ad ogni angolo, trovo le tue cose e i tuoi piccoli segni ovunque. Due fette di pane con il miele e l’odore del caffé che esce dalla moka in attesa che il cellulare squilli con un sms di buongiorno. Una promessa, la nostra mai pronunciata e sempre mantenuta: leggersi al mattino e alla sera: è il nostro buongiorno, la nostra buonanotte. Per sentirci vicini, insieme. Per dirci che ci amiamo sempre anche a chilometri di lontananza. E fuggo con la testa tra le montagne lassù in quel paese di cui non mi ricordo il nome ma se potessi ti raggiungerei all’istante. Sorseggio il caffé e ripenso a ieri. Soffermandomi sulle emozioni, le tue, che trasmetti. E che diventano mie. Nostre. Ti penso. Penso ai monti che hai scalato per chiamarmi. Penso alla tua sottile ironia che vuole sdrammatizzare il tutto. Penso alle battute, alle risposte che mi dai e a quelle che non mi dai. E ti devo chiedere cento volte perché. Ti scrivo. Mi rispondi. Torna la normalità apparente. Rispondo. Rispondi. Ma poi devo staccare. Mi vesto e la città è vuota. Non c’è nessuno ma così è preziosa. Parcheggio ovunque e senza problemi. Cammino con l’acqua che bagna i piedi. S’inizia col lavoro. Telefonate su telefonate. Correggo le bozze, rileggo titoli e tabelle. Controllo numeri. Poi un altro tuo sms. Sì, mi ami. Lo so, lo sento. Vorrei solo che fossi qui. Non me ne frega più nulla del lavoro. Vorrei scappare e godermi il mio uomo. Chiama bea, stasera non si va a treviso. Peccato, starò sola a Padova. Una solitudine forzata, ma è meglio così. Chi mi conosce in questa settimana non capirebbe il mio stato. E non riesco a ridere come sempre. Non riesco ad essere quella di sempre. M’incanto davanti al monitor del pc. Guardo le mail e ho voglia, bisogno immenso bisogno di scrivere. E’ il mio sfogo è l’unica arma che conosco per parlare liberamente, per esternare un’emozione. Mi sono immaginata tutta la scena. Parola per parola. Il mio tempo è già a domenica. Il mio calendario non vede altra data. Vivo nell’attesa del tuo ritorno e mai mi sarei vista come una Penelope ansiosa di riabbracciare il suo uomo. E sono anche andata avanti di vent’anni. Strano, tu non eri vecchio. Io, invece, non mi percepivo se non come presenza. Anche adesso sono lì con te. E c’è solo il rumore delle onde. Solo la pace dei miei sensi. E una tranquillità interiore che solo la tua presenza sa darmi. Quanto possono dare poche parole sentite e ben scritte, anche solo via sms. Quanto puoi dare tu. Avrei voglia di acqua ora. O meglio di una sauna. Nuda. Chiudo ancora gli occhi. Il tepore che diventa caldo. Il corpo bagnato che si distende. La muscolatura si rilassa. La mia pausa da tutto. Musica in sottofondo. Nessun rumore. Tu appari e ti percepisco dal tatto. Sciolgo i capelli. Tu mi accarezzi e io tengo gli occhi chiusi. Mi sfili l’asciugamano ed entri lentamente in me. E m’è tornata voglia di essere totalmente tua. Fisicamente. Oggi, ancora più nostalgia di te.

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