24 aprile 2020

Il cuore rallenta la testa cammina

C'è un tempo per fare e un tempo per star fermi e riflettere.
Gli antichi erano più saggi di noi, ma al tempo non esistevano il wifi e il cellulare, era un gioco da ragazzi passeggiare tra i colonnati (peripatoi) e dedicarsi alla vita contemplativa, ovvero alla concentrazione filosofica, al pensiero razionale.
Persino 20 anni fa era più semplice staccare la spina, nel vero senso della parola. Si usciva per fare due passi lontano da tutti e il telefono restava lì, attaccato al muro, in casa sopra un mobile. Suonava e non rispondevi, perché non c'eri. Punto. E neanche sapevi, al ritorno, chi ti aveva cercato.
Ora come fai a non "esserci"? Devi negare persino la tua presenza virtuale, facendo leva su tutti i sensi: "non ho sentito", "non ho visto", "non posso, scusa ti richiamo dopo, domani, in un altro momento".

Non è un elogio dei tempi andati. Solo una constatazione che mi porta a una riflessione inficiata da questi giorni di clausura: ci siamo talmente ubriacati di presenza e operosità, sulla scia dell'eterna connessione al mondo, che non riusciamo più a vedere e a dare il giusto valore al tempo.
Se non facciamo, se non agiamo e se non occupiamo ogni minuto o slot di agenda, è come se sprecassimo vita. Cosa ci rende impossibile stare fermi (non solo, intendo, con l'auto parcheggiata in garage) e pensare?

Prima suggestione.
In questi giorni ho ripensato all'esame di filosofia dato all'Università: l'unico, se non consideriamo quello di Estetica che mi è servito per fare numero e perché mi piaceva la parte monografica.
L'esame sostenuto nel lontano 1999 parlava proprio del Concetto di Tempo: da Seneca a Hegel. Lungi da me addentrarmi nei meandri di una discussione di cui ricordo poco o nulla. Ma quei libri tanto sottolineati sono oggi davanti a me, sulla libreria che ho di fronte, e mi dicono qualcosa.
"La vita non è breve - scriveva Seneca - viene inutilmente sprecata".
E ancora: "Potrebbe esserci al mondo qualcosa di più sciocco di coloro che sono indaffarati più degli altri e per poter vivere meglio si preparano la vita futura sacrificando quella presente?"
Non odiatemi, forse sono i retaggi della mia educazione classica vissuta per troppi anni. Ma su questi ho basato la mia formazione.

Seconda suggestione.
E' da un paio di giorni che riecheggia nella mia mente la parola annaspare. Ci ho messo cinque minuti anni fa per spiegare il significato di questo verbo a un'amica di Singapore, nelle mattine in cui ci scambiavamo competenze: io di lingua italiana, lei di inglese. Oggi questo dimenarsi scomposto in cerca di un appiglio, questo senso di arrabattarsi attorno a qualcosa senza concludere, è così evidente da fondersi completamente con il concetto di tempo.

Incapaci di gestire i momenti vuoti o i diversi tempi di una nuova modalità lavorativa e anche di un nuovo stile di vita, abbiamo cercato di riempire le nostre giornate di attività per scimmiottare i ritmi di prima. Ritmi stancanti, prosciuganti dove non avevamo tempo di pensare e neanche di annoiarci. Sì annoiarci. 
Il problema è che ora pur di "fare", facciamo anche troppo e in malo modo. Dirette no-stop, streaming, videocall infinite, chiamate orarie (nel senso che durano quasi 2 ore), selfie in ogni posizione del video, ginnastica con 80 diverse app. Riempiamo tempo.

Mi spaventa questo turbine virtuale di azioni perché molte non hanno senso se non per impegnare la nostra attenzione che potremmo dirottare altrove. 
E' vero: è anche un modo per sentirsi meno soli, meno lontani, meno chiusi, meno isolati. Ma il proliferare di attività non è proporzionale alla qualità della vita e del nostro lavoro. 
Dire stop, fermarsi, ogni tanto ha più senso che non farlo. 
Nella musica, in ogni spartito, la pausa è un segno grafico da cui non si può prescindere perché scandisce un momento di silenzio il cui valore trova corrispondenza nella durata del suono. Nella musica vocale, è la pausa che lascia spazio al respiro.

Per un solo dolcissimo umore del sangue, 
per la stessa ragione del viaggio viaggiare
il cuore rallenta, la testa cammina
in un buio di giostre in disuso

Sono tornata ad ascoltare De André.

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