9 aprile 2020

Respirare.


Respirare.
Mai come adesso sento la pregnanza di questo verbo. Me la sento addosso, tra le costole, in quel peso che ogni tanto mi si ferma sul petto e preme come un masso, nella gola chiusa e stretta, nelle narici, lungo le braccia che perdono forza, nella mia mente che mi sembra annebbiata e nelle membra stanche.
L’altro giorno sono uscita a fare due passi. Non uscivo da qualche giorno per pigrizia e pensieri. Mi considero una persona allenata ma evidentemente il lavoro aerobico non funziona in situazioni eccezionali. Di ritorno, dopo aver allungato il passo e cavalcato i gradini dei tre piani verso casa, mi sono seduta in divano, ansimante, stanca, eterea, fuori da ogni dimensione. 
Avevo solo preso aria. Ero tornata semplicemente a respirare l’ambiente. La sensazione di fresco. Il sapore dell’erba. Il vento addosso.
La mia mente si è avviluppata nei ricordi di tanti anni fa.
Il respiro come il battito del cuore non necessita della nostra mente. Ma è incredibile come essa possa condizionarlo. Lo so con estrema certezza da quel gennaio del 2006, quando ebbi il mio primo attacco di panico. Inatteso, immediato, mi ha trovato debole e col cuore a pezzi e mi ha colpito nel profondo. Ha colpito nella mia paura più remota e atavica: quella di morire.
Ricordo di aver visto la strada girare. Le voci lontane. La testa appannata, la vista non lucida. Il cuore batteva forte, la gola.. beh, sembrava che qualcuno mi strangolasse. Incapace di fare anche solo un passo in avanti. Senza fiato né respiro. Mi sono appoggiata al muro freddo. Ho pensato per la prima volta nella mia vita: ho un infarto.
Solo chi l’ha vissuto può veramente capire, per gli altri sembrerà strano, insolito, fuori dalla norma. Non è così. E’ terribilmente reale, la prima volta. E forse anche la seconda.
Agli attacchi di panico, col tempo ci si abitua. Diventano ansia e sai come conviverci. Li senti arrivare, li anticipi, li plachi perché fermi la mente e la sconnetti dal corpo.
Il respiro è il primo sintomo. Perché l’ansia toglie l’aria.
Quel giorno mi ha reso diversa ma non sarei la donna di oggi senza quegli episodi che mi porto dentro. E non avrei imparato a conoscermi bene come oggi. Perché il mio corpo somatizza in un modo originale, da sempre. Ogni segnale ha un perché, una spiegazione. Il nostro corpo ci parla e ho imparato ad ascoltarlo.  
E ora io mi sento senza aria. Dovrei spalancare le finestre e respirare da fuori. Mi sono chiusa nella protezione della casa che è in questo momento sicurezza, ma là fuori c’è un mondo che non mi deve destabilizzare. Perché mi fa solo respirare davvero.

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